Piccola nota a Vexations di Erik Satie.



Tratto da Edenlandia, romanzo di Giuseppe Ferraina.


"Poi si mise a canticchiare una musica molto malinconica, che mi parve familiare. Mi disse se la conoscevo e io gli risposi di si, ma che ignoravo l'autore e il nome. E lui mi disse che si chiamava Gemenopedie e che era ispirata ai giochi ginnici dei bambini dell’antica Grecia che svolazzavano con i loro leggeri indumenti in armonia con la natura in una bella giornata di sole che prendeva in braccio i loro esili corpi facendoli galleggiare nell'aria lentamente come quella musica. E la immaginai proprio come me la descrisse. Mi disse che il musicista si chiamava Erik Satie. E poi mi chiese quanti anni a parer mio potesse avere e io gli risposi su per giù quanto i suoi e lui scoppiò a ridere e mi fece segno con le due dita a grossa “V” che voleva che gli passassi quello che era rimasto del joint e così glielo restituii per gli ultimi colpi. Mi rispose che non pensava lo facessi così antico. Mi disse che era nato intorno alla metà dell’ottocento. Neppure la sua musica mi sembrò così vecchia, ma non capivo tutto questo a cosa mai servisse. E intanto il sole incominciò a levarsi sopra le nostre teste. Bruno mi disse che costui era il vero padre dell’arte contemporanea e che nessuno lo aveva ancora davvero ucciso e che lui ci stesse, in un certo senso, lavorando sopra. Poi appoggiò i gomiti alle ginocchia mentre con le mani congiunte si sorresse il mento e poi il suo sguardo si perse sulla collinetta difronte. Dalle parti di via Orazio o giù di lì. Mi spiegò che costui aveva realizzato nel 1893 un’opera che si intitolava VexationsChe era una composizione di 840 ripetizioni di brano monotono che durava a seconda del tempo di esecuzione dalle 15 alle 24 ore e che la prima esecuzione pubblica fu eseguita nel 1963 a New York dall’americano esponente di spicco del Fluxus John Cage e da un nutrito gruppo di suoi amici che si alternarono al pianoforte per più di due giorni. Mi disse che questo Cage era un vero furbacchione. Che aveva contratto un debito nei riguardi di questo Satie grosso quanto un anno d’acqua che passa dalle cascate del Niagara. Allora pensai che doveva essere veramente esagerato questo debito.
< È un caso, caro pivello, che Cage nel ‘52 realizzò 4 minuti e 33 secondi di silenzio? >. Io non sapevo assolutamente di cosa stesse parlando, ma lo assecondai scrollando subito il capo. Mi disse che, se anche i suoi 4 minuti e 33 secondi non scalfirono mai il maestro,
comunque rimaneva un gran bel matto: di quelli molto intelligenti, in poche parole un gran figlio di puttana, perché alle sue esibizioni (performance, come le chiamò lui) faceva accorrere sempre un sacco di gente, riempendo anche gli angoli più stretti dei grandi teatri di tutto il mondo. Mi disse che i 4 minuti e 33 secondi di silenzio consistevano in questo: Il teatro era gremito di persone. Sul palco v’era un enorme pianoforte a coda, spesso illuminato con luce ad occhio di bue. Lui dopo un bel po’ d’attesa entrava in scena vestito quasi sempre in tait e con un certo aplomb da milord. Intanto che gli applausi scrosciavano, lui con stile impeccabile si dirigeva al pianoforte senza rivolgere lo sguardo a nessuno; poi si sedeva allo sgabello tirando in dietro la lunga coda dell’abito, apriva il vano della tastiera del pianoforte, adagiava delicatamente lo spartito sull’apposito leggio, poi con molta calma tirava fuori dalla tasca del tait un affare che era un timer, lo regolava e lo metteva, sempre con molta calma, di fianco al leggio, si aggiustava l’abito e metteva le mani sulle gambe intanto che calasse il silenzio, poi guardava per un po’ avanti a sé concentrandosi tantissimo e d’improvviso, come preso da un
raptus che lo ispirava da non si sa dove, alzava le mani con le dita apertissime e a martello, che sembrava avrebbe sfasciato la tastiera da un momento o l’altro e poi... xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Nulla.
Praticamente rimaneva lì , così, in quella medesima posizione. Diventava una vera statua di cera. Passava il tempo e lui sempre così. Intanto dalla sala gremita si levavano sottili rumori, circospetti bisbiglii, inavvertite esigenze da parte del pubblico: quali sternutire, muoversi leggermente dalle poltroncine, soffiarsi il naso senza fare baccano, tossire appena appena per non disturbare. Insomma tutti erano attenti nel non rompere quella magia. Rimanevano in silenzio forseperbuoncostume, perchésapevanoche la loro parte era quella, di far silenzio e guardare e ascoltare il proscenio, anche se non v’era davvero nulla, né da guardare, se non Cage catatonico, né da udire, esclusi i piccoli rumori della sala. Poi conclusi i famosi 4 minuti e 33 secondi Cage si alzava di colpo dallo sgabello a seguito del trillo del timer che era scattato e la gente impazziva, come chissà cosa avesse fatto o quale musica avesse
eseguito, e si spellava le mani. E in pratica i teatri esplodevano e il furbacchione intascava tanta bella moneta, quella sì che suonava per davvero. E in fine si inchinava e se ne andava come era arrivato, con grande stile. Bruno mi disse che in realtà quel furbacchione era riuscito a far vedere e a far sentire alla gente quello che un giorno avrebbero visto e udito tutti con Vexations, dall’opera viva del genio di Satie. Cioè pose semplicemente le basi per far comprendere il problema di quell’opera, disvelandone in buona sostanza il proprio motto, cioè l’impossibilità di ogni suono di essere udito, come altrettanto impossibile fosse udire il silenzio.
Bruno mi disse che andò alla prima rappresentazione di Vexations in Italia, che si tenne a Milano nel teatro di Porta Romana. Non ricordo quando, ma mi disse che quella era una tipica giornata d’autunno milanese, col cielo totalmente chiuso e molto fredda e visto che mancavano ancora un paio d’ore prima dell’inizio, andò a riscaldarsi in un bar lì vicino e ordinò un tè bollentissimo. Mi disse che in quel bar tutti andavano di fretta. Quindi trovato facilmente posto a sedere su una comoda poltrona, il cameriere gli portò subito l’acqua;
appena uscita dal bollitore.
Mi disse che un tè così bollente a Napoli era difficilissimo riceverlo.
Finito il tè si fece l’ora e andò.
Il teatro era semi deserto e questo da un lato lo consolò.
Quell’estenuante maratona doveva essere eseguita da due tizi: Juan Hidalgo e Walter Marchetti, componenti del gruppo Zaj, amici di vecchia data di Cage e tra i più noti esponenti della musica sperimentale.
Si sedette in ultima fila, un po’ per discrezione e un po’ per osservare tutta la sala. Poi mise sulla poltrona di fianco la borsa che si era portato appresso con i viveri e altro materiale di prima necessità. In quel momento spuntò Hidalgo dalle quinte e iniziò mestamente, senza che nessuno lo applaudisse, l’opera del maestro. E compariva ogni volta un figuro che segnava su una grossa lavagna il numero della ripetizione appena terminata.
Dopo alcune ore toccò a Marchetti, poi toccò di nuovo a Hidalgo e poi di nuovo a Marchetti. Questo fino all’alba del giorno successivo. Bruno, dopo che si concesse 12 ritirate al cesso e 5 fugaci pasti e finì tutta la riserva d’acqua che si portò, mi disse: < Pivello, non sentii più
un cazzo! >. Non sentì più nulla, neanche una nota. Dopo due ore non rivolse neanche più lo sguardo a Hidago e a Marchetti e poi tutto il palcoscenico scomparì.
A quel punto rimase da solo nella sala e incominciò ad osservare i segnali di uscita di emergenza, poi si mise ad osservare le tende, le poltroncine, la moquette, il soffitto, i lampadari, poi si grattò la schiena, si tolse le scarpe, si grattò i genitali, e poi si masturbò per tre volte di seguito. Mi disse che quel geniaccio di Satie era stato il primo e l’unico ad aver mandato bellamente a fare in culo l’arte, ma sul serio, mica per raccomandata o per telefono. Messa tutta nel cesso e fatta scorrere via insieme a l’acqua per due lunghi giorni.
Gli chiesi come mai ce l’avesse così a morte con l’arte. Lui mi ribadì che era sempre una questione legata all’amore.
< Sottrarre all’opera l’energia vitale che risfocia nel flusso della vitaSottrarsi al grande tradimento. Inevitabile tradimento di ogni messa in opera. Compiacenti sono le istanze di potere. Le quali tengono a nutrirsi di energie vitali. Inevitabile tradimento della vita è il vissuto, puntuale a regnare nelle vite.
Ogni cosa che resta simile alla vita è alto
tradimento.
Ogni linguaggio è alto tradimento.
Ogni esercizio di bellezza è alto tradimento. Ogni verità è alto tradimento.
Ogni filosofia è alto tradimento.
Ogni religione è alto tradimento.
Ogni convinzione è alto tradimento.
Ogni nascita è alto tradimento.
Morire o non nascere no. Tossire non è tradimento. Bere non è tradimento. Mangiare no. Chiavare non è tradimento. Neanche masturbarsi è tradimento, ma se lo fai, però, non deve essere rivolto a nessuno all’infuori del gesto. Baciare no. Baciare non è mai un tradimento. E anche quello di Giuda, non fu un tradimento alla vita. E questo Erik Satie lo sapeva bene >".

Giuseppe Ferraina.


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